Chandra Livia Candiani poetessa, traduttrice di testi buddhisti e maestra di meditazione ci regala un saggio tascabile da leggere, rileggere e sottolineare “Il silenzio è cosa viva. L’arte della meditazione” Ed. Einaudi che apre una finestra su cosa è per lei la meditazione, o forse sarebbe meglio dire una stanza, la stanza della meditazione, la sua, ci invita ad entrare e ad accomodarci.
“Nella stanza ci si siede con attenzione, con cura, cura per il cuscino, la sedia, lo spazio, lo spazio proprio e altrui, per il corpo. Ci si raggiunge, ci si accorge di essere seduti lì in quel momento. Si porta l’attenzione al respiro così com’è, si riceve il respiro. L’attenzione è morbida, tenera, eppure salda e determinata, simile a quella che avremmo per una farfalla: se la stringessimo, la uccideremmo, se non la tenessimo con attenzione, sfuggirebbe… e’ un luogo che si fa insieme, di per sé è solo una stanza vuota, né brutta, né bella, piena di spazio, possibilità”
“uno spazio dove si coltiva fiducia, una fiducia radicale e insieme minimale, anche solo che ci sia un sentiero e che sia percorribile, che ci sia una stanza, che ci si possa sedere, che il dolore o la gioia possano essere seduti con noi, in noi nella stanza, che possano essere compresi”.
In quella stanza si respira il silenzio, si impara ad accoglierlo e a sentirlo e a notarne le sfumature, un silenzio che diventa consapevole.
Stare in ascolto permette di sentire nel profondo, permette il rivelarsi ed essere presenti a se stessi come a un oggetto di studio. Anziché guardare il mondo dalla rabbia, dalla tristezza, dall’eccitazione, guardo la rabbia, la tristezza, l’eccitazione.
Dunque una stanza della meditazione è un rifugio, ma dove ci si rivela tutti interi a noi stessi.
La stanza della meditazione dell’autrice mi ricorda molto la stanza della terapia, dove ci si siede e si viene invitati a stare. Si sta, insieme. Si sta in ciò che si prova, si porta l’attenzione a ciò che si sente. Si sta nel dolore sentendolo, abitandolo fino a che non diventa un pezzo di noi, non più un estraneo o un ospite scomodo. Nella stanza della terapia si sta anche in silenzio, nel silenzio pieno di consapevolezza o pieno di lacrime. Così come si coltiva la fiducia, in se stessi e nell’altro.
Una stanza della meditazione come una stanza della terapia sono luoghi dove stare fermi nell’oscurità per conoscere la propria ombra e le proprie impronte. E per procedere oltre.
Scegliere di guardare il dolore e di prendersene cura lo considero un atto di coraggio, scegliere di starci e di farlo insieme. E’ perdersi per ritrovarsi. Per accettare, comprendere ed aprirsi a nuove storie.
“Quando sarò tutta crepa, sarò di nuovo intera”
E tu ti prendi cura delle tue parti oscure? In che modo?
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